Siccome era da un po’ che non pioveva a Milano, a me e a questo gatto sconosciuto dell'interne
Siccome era da un po’ che non pioveva a Milano, a me e a questo gatto sconosciuto dell'internet è venuto in mente di andare al cinema a vedere un film sul diluvio universale. L'ultima volta che avevamo visto qualcosa di Aronofsky, a dire il vero, eravamo in aereo e si ballava, per fortuna non sull'aereo ma dentro il film. Stavolta, invece, niente danze interpretative o fluttuanti introspezioni ma l'epicità della riedificazione di un'impalcatura antica, rivissuta attraverso gli occhi di uno che sguazza volentieri nelle ricostruzioni in costume: Russel Crowe, l'ex Massimo Decimo Meridio ormai incanutito e diventato, ahinoi, il Noè dell'Arca. Eroico e visionario come un sacrificio animale su un monte spelacchiato, Noah ha l'enorme vizio di voler a tutti i costi infilare sentimenti odierni in una storia vecchissima, riorganizzando a colpi di morale contemporanea un universo biblico dove si sacrificava il bene del singolo per la collettività, inghiottendo l'attaccamento ai propri figli, ai propri bisogni e alle proprie aspirazioni in nome della prosecuzione della Specie. Ma qui no: le madri e le nonne sbuffano e fanno i capricci, i figli arrapati incolpano i padri delle loro deprivazioni sensoriali, ognuno pensa e agisce per sé preda dell'ego del superuomo neitzschiano salito sulla DeLorean per farsi un giro ai tempi della Genesi. Unica costante, Dio appare solo quando gli fa comodo, rovina il sonno e poi tace, irritante come la tomba d'oro di Padre Pio, utile come il santino nel portafogli quando fai un incidente. Polpettone biblico noioso e confuso, Noah avrebbe comunque potuto servirci per scoprire, in ultima istanza, che fine avessero fatto i due liocorni; ma invece no, neanche quello. -- source link